Oltre al piacere personale, quali soddisfazioni ti rimangono più
impresse dei tuoi quindici anni di successi?
"L'aver fatto qualcosa, magari piccolissima, per gli emigrati. Aver
contribuito ad elevare il loro orgoglio di sardi e a vantarsi di esserlo
quando in giro per l'Europa dovevano sgobbare facendo i lavori più
faticosi e sopportando le umiliazioni più grosse. Mia sorella mi faceva
leggere le loro lettere che arrivavano dalla Svizzera, dal Belgio, dalla
Germania, dall'Inghilterra. Magari non avevano niente a che fare col
calcio ed erano lettere bellissime e commoventi. La sola idea di averli
fatti sorridere anche solo per un minuto, mi dà ancor oggi un senso di
benessere. Come a dire che quello che ho fatto non è stato solo fine a
se steso".
C'è tutto Gigi Riva in queste poche righe tratte da 'Un tiro mancino'
(pagina 300). Per una persona come lui, schiva e refrattaria a qualsiasi
esagerazione celebrativa, non è facile ancor oggi vedere lo scudetto
conquistato dal Cagliari nel 1970 in una chiave che esuli da una
semplice parentesi della sua vita, per quanto bella possa essere stata. Il
rischio dell'esaltazione non gli è mi appartenuto, anche se nelle sue
confessioni al medico psicologo Augusto Frongia ( pagina 264)
confessa di "avere il bisogno di sentirsi il più forte". Quando però il
discorso cade sui sardi, sui quei corregionali che per trovare un lavoro
sono stati costretti ad allontanarsi dalla loro terra e dalle persone più
care, Riva non può fare a meno di inorgoglirsi, di sorridere. Ed ecco
che allora tutte le barriere cadono: non c'è più il pudore e la timidezza
che in qualche modo lo frenano nel parlare delle sue antiche prodezze,
ma la voglia di raccontarle. Perché hanno dato un briciolo di gioia e di
serenità a chi ne aveva davvero bisogno. E allora ben vengano i
ricordi dei gol e dello scudetto se hanno avuto una funzione
terapeutica.
Oggi per fortuna quando si parla di emigrati dalla Sardegna le
condizioni sono cambiate. La seconda e la terza generazione ha
raccolto e sfruttato i sacrifici della prima, creando delle opportunità di
vita nettamente più appaganti. Ciò non toglie che 'Un tiro mancino' è
rivolto soprattutto a loro. Ai nostri corregionali che ieri come oggi
hanno dovuto varcare il Tirreno e a quelli che sono nati al di là. Per
loro _ ancor più che per chi è rimasto _ quello scudetto , come recita
il titolo, 'non finisce mai'.
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