L'Unione Sarda.
Quando toccammo l'utopia.
Di Giancarlo Ghirra.
Da tempo voleva raccontare di quel tiro mancino di Giggirriva, esploso una lontana domenica
del 1966 in cui Rombo di tuono mise a segno la prima tripletta in serie A contro il Bologna.
Sperava che qualcuno lo facesse prima di lui, ma ora, con trent'anni di ritardo l'allora bambino
e oggi quasi quarantenne Nanni Boi colma una lacuna, scrivendo il racconto di una storia, anzi
di un'epopea: lo scudetto conquistato dal Cagliari poco più di trent'anni fa. Aveva soltanto nove
anni quando l'armata rossoblù vinse il campionato, e siccome nel ricordo infantile delle gesta di
Giggirriva aveva il dubbio di eccedere, ha chiesto una cinquantina di pareri, non solo ad alcuni
addetti ai lavori, ma anche a politici, attori, perfino ad un premio Nobel. Ne è uscito fuori il
racconto di uno scudetto che non finisce mai, perché ormai è entrato nel mito. Da Giulio
Andreotti a Graziano Mesina, da Pelè a Gianni Mura, tante sono le testimonianze (curiose
quelle di Carmelo Alfonso e di una nuotata per raggiungere Riva chiuso in una casa sulla costa)
di una vicenda ancora al centro dell'attenzione degli sportivi: "Senza gli incidenti a Riva -
racconta Giorgio Tosatti - quel Cagliari avrebbe vinto anche in Europa".
Nanni Boi, giornalista sportivo della Nuova Sardegna, intercala i ricordi dei testimoni di allora
con le cronache di ogni partita di quel magico campionato del 1969-70, dando notizia di
formazioni, classifiche, goleador protagonisti di una piccola leggenda che aveva in Riva l'eroe
condottiero e dietro le quinte la mente di Manlio Scopigno, l'allenatore: "Fu lui - ricorda
Sandro Ciotti - che seppe creare un'atmosfera irripetibile", consentendo a quella squadra che
sconvolse il mondo del calcio di rompere il monopolio della Juventus, del Milan, dell'Inter.
"C'era un'intera regione - rammenta lo storico Manlio Brigaglia - dietro una squadra in
grado, per la prima volta nella storia, di far superare il dualismo fra Cagliari e Sassari,
unificando la Sardegna, un intero popolo, compresi quegli emigrati partiti alla ricerca del
riscatto, della rinascita". Erano anni formidabili, quelli. Anni di passioni politiche e
civili, e quel Cagliari non fu soltanto un fatto sportivo, come racconta nel suo intelligente intervento
Gianni Olla.
Gigi Riva, il simbolo di quegli uomini vincenti (Albertosi, Tomasini, Nenè, Cera, Greatti, Zignoli,
Niccolai e via elencando) non era solo un campione capace di gesti atletici e straordinari. Nella
itologia popolare era un eroe con il coraggio di regalare le sue gambe alla Nazionale nella
lotta per il gol. Quel giovane lombardo adottato dai sardi, che mai volle lasciare l'Isola
nonostante le offerte miliardarie della Juventus e di altri grandi club, era il simbolo della lotta
di Davide contro Golia. C'è addirittura chi mette insieme la vittoria del Cagliari con i
rivolgimenti di un'epoca segnata dai grandi movimenti degli studenti, degli operai, della lotta di
liberazione dei popoli del Terzo mondo. Il Nobel Dario Fo paragona Riva a Gramsci, "caparbio
come lui"..
I giovani cercavano l'utopia, l'immaginazione al potere. Quel Cagliari fu la vittoria dell'utopia.
Esagerava Gianni Brera quando diceva che la Sardegna entrò in quel momento nella storia
d'Italia, ma è vero che l'Isola, anche grazie a quella vittoria sportiva, uscì dalla marginalità,
ruppe il monopolio di Milano e Torino, sconfisse la Juve, l'Inter, il Milan, per la gioia di tanti
emigrati nell'Italia del nord e in Europa che vedevano in quella squadra il simbolo di un
riscatto. Fu per l'Isola una pubblicità straordinaria, assai più dei miliardi sprecati da tanti
baracconi clientelari.
Fu purtroppo un'impresa irripetibile: quando mai nascerà un altro Riva ("era il mio idolo -
giura Graziano Mesina - e quando segnava facevano festa nel carcere anche le guardie") e
quando mai arriverà a Cagliari per 37 milioni? Fu quello il gran colpo di Andrea Arrica, allora
vicepresidente, che definisce quell'acquisto "il più grosso affare nella storia del calcio
mercato". Ma, soprattutto, se anche Riva giungesse a Cagliari, quando mai resterebbe qui?
Oggi varrebbe centocinquanta, duecento miliardi, con ingaggi da quindici, diciotto miliardi
l'anno. Non che non costasse, e infatti per mantenerlo nella società di provincia fino allora
guidata da Enrico Rocca ci vollero i denari della Saras di Moratti, con un intervento
semiclandestino contrattato con il potere politico del tempo, che ottenne poi anche la presenza
di Rovelli.
Rombo di tuono restò, e portò alla vittoria una pattuglia di campioni costruita in casa, grazie a
un maestro come Arturo Silvestri, e poi perfezionata con scambi azzeccati, come quello di
Albertosi e Brugnera per Rizzo e l'altro per Domenghini, Gori e Poli per Boninsegna. Era un
mondo romantico. Quei ragazzi rappresentavano città, regioni, passioni. Non erano mercenari
disposti a combiare maglia per i miliardi, erano l'orgoglio di tanti emigrati (lo ricorda il
giornaista del Corsera Costantino Muscau). "Riva - nota Giorgio Bocca, giornalista politico di
punta, - non ha barattato la sua tranquillità per un pugno di dollari. E neppure Scopigno, una
persona spiritosa, intelligente, una mosca bianca in un mondo di furbi o di persone opache che
ripetono dichiarazioni cretine. Aveva la dote dell'ironia e soprattutto dell'autoironia".
Obbligatorio il ricordo (affidato a Mariano Delogu) della partita decisiva sulla strada dello
scudetto, il match fra Juventus e Cagliari finito 2 a 2 al Comunale di Torino. Allo stadio non
vennero neppure girate immagini della partita per uno sciopero dei tecnici della Rai, unica
allora presente prima dell'esplosione delle televisioni private. Protagonista dell'incontro, più
delle due squadre impegnate per lo scudetto, divenne nel secopndo tempo (dopo il famoso
autogol di Niccolai e il pareggio di Riva) l'arbitro Concetto Lo Bello. Irritato per la mancata
convocazione ai mondiali che si sarebbero svolti in Messico nel giugno successivo, il più famoso
fischietto del dopoguerra inventò un rigore a favore della Juventus. Albertosi parò il tiro di
Haller, ma Lo Bello lo fece ripetere. Il portierone rossoblù scoppiò in lacrime, l'arbitro,
inflessibile, lo costrinse a subire il secondo tiro dagli undici metri. In quel momento la Juventus
raggiungeva il Cagliari in testa alla classifica. Si racconta che Riva abbia minacciato di lasciare
il campo e che abbia lanciato su Lo Bello accuse irripetibili. Pochi minuti dopo un'involontaria
spintarella sul numero 11 cagliaritano diede all'arbitro siciliano l'occasione per inventarsi un
nuovo rigore pareggiando così i conti.
Si aprì la strada allo scudetto, conquistato il 12 aprile 1970 con la vittoria sul Bari. Fu festa
grande e poco mancò che il Cagliari portasse anche la Nazionale a vincere i mondiali in
Messico. Albertosi, Cera, Domenghini e Riva furono tra i protagonisti della storica vittoria (4 a
3) contro la Germania allo stadio Azteca di Città del Messico, ma in finale il Brasile sconfisse
quella squadra targata in gran parte Cagliari. Sarebbe stata una nuova leggenda nella
leggenda. Andò male, ma l'epopea rossoblù resta comunque un fatto storico, il simbolo di
un'epoca definitivamente tramontata.
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